Si trova a Roma, in Via Fontechiari, nel quartiere Centocelle: è L’Alveare, il coworking con lo spazio baby. Per conoscerlo meglio, ho intervistato Serena Baldari, responsabile delle reti sociali.
Un’esperienza di donne che hanno pensato, studiato, deciso e realizzato uno spazio a misura di genitori, in cui poter lavorare e formarsi, dando la massima attenzione ai più piccoli. Il tutto con un forte spirito collaborativo verso il contesto e le Istituzioni. E mettendo in primo piano l’esigenza di affrontare il mondo del lavoro con una modalità sperimentale, ma che sta già dando i primi frutti.
Le promotrici sono le socie dell’associazione Città delle mamme, con lunga esperienza di volontariato nell’ambito del supporto alla genitorialità, molto determinate nel cercare (e trovare) finanziamenti per dare vita alle proprie idee e molto umili per formarsi e per imparare ancora meglio a gestire un coworking particolare, proprio perché integrato con la cura e l’attenzione verso i più piccoli.
Avevo il desiderio di conoscere più da vicino il percorso dell’Alveare e quindi ho intervistato Serena Baldari, socia e vicepresidente della Città delle mamme e responsabile delle reti sociali. La ringrazio vivamente per aver soddisfatto il mio desiderio e, quindi, vi invito a leggere cosa mi ha raccontato.
Qual è la storia dell’Alveare?
L’Alveare ha una storia che inizia circa tre anni fa, nell’ambito dell’associazione Città delle mamme, un’associazione di volontariato che si occupa di progetti a sostegno della genitorialità. Una delle nostre socie ci comunicò la sua idea, immaginando un posto dove i genitori potessero lavorare e i bambini accuditi. E si parlava di coworking, in un momento in cui i coworking erano veramente pochi e quelli con lo spazio per bambini non esistevano proprio. Allora abbiamo cominciato a studiare, a documentarci ed abbiamo conosciuto il coworking Piano C di Milano, che ha uno spazio per bambini, ma con una differente impostazione rispetto alla nostra. Siamo entrati in contatto con loro e sono stati molto prodighi di consigli e sostegno.
E quindi come si è sviluppata l’idea?
Abbiamo capito che avevamo bisogno di un finanziamento: con le nostre sole forze non ce l’avremmo mai fatta. Abbiamo cominciato a creare il progetto con un file condiviso in cui ognuna di noi modificava e arricchiva i contenuti e poi abbiamo iniziato a cercare finanziamenti. Ma non è stato facile, in quanto i progetti regionali erano a rendicontazione, quindi avremmo dovuto anticipare somme considerevoli. Abbiamo partecipato, per altri motivi, a Smart City Exhibition a Bologna, nell’ottobre 2012, e lì abbiamo sentito parlare del lancio della call for social ideas di ItaliaCamp e quella c’è sembrata una buona occasione per presentare il nostro progetto. Partecipiamo e, trascorso un anno esatto, nel 2013 ci viene comunicato che il nostro progetto è risultato vincitore della call. Molto entusiasmo per noi, in quanto vincere un bando per idee innovative non è cosa da poco.
Che rapporto avete intrapreso con la Pubblica Amministrazione?
Abbiamo quindi cominciato a chiederci se prendere in affitto degli spazi per fare una piccola attività privata oppure far sì che il nostro progetto sociale, con ricadute sul territorio, avesse una relazione diretta con la Pubblica Amministrazione. Abbiamo scelto la seconda via. Siamo andate a parlare al Municipio V, in quanto le attività della Città delle mamme sono abbastanza “Pigneto-centriche” e avevamo già avuto relazioni con loro, ad esempio col patrocinio del nostro progetto storico CineMamme. Ci siamo mosse anche a livello comunale, andando a parlare con l’Assessore alle Periferie dell’epoca, Paolo Masini, in quanto nel suo staff c’era un persona con delega al coworking. Gli abbiamo presentato il progetto, dicendo che avevamo già un finanziamento e che curare questo progetto insieme sarebbe stato positivo per entrambe le parti. Al Comune si sono dimostrati disponibili, abbiamo fatto alcuni sopralluoghi, finché non abbiamo visto questi spazi, che a noi sono sembrati subito idonei. Questi spazi sono un’opera a scomputo, realizzata insieme a queste case, pronta dal 2009, però non era mai stata attivata. Abbiamo quindi iniziato a lavorare moltissimo per dare forma a questa concessione. Credo sia stato un atto coraggioso, in quanto al Comune hanno deciso, usando la loro funzione, di dar credito ad un progetto, sebbene già finanziato, sperimentale e innovativo, prendendosi parte del rischio.
Qual è stato il lavoro sugli spazi?
I locali ci sono stati concessi a maggio 2014 e abbiamo così avviato i lavori negli spazi che, sebbene non necessitassero di un vero e proprio ripristino, erano vuoti e abbandonati, avevano subìto dei danni e dei furti. Abbiamo reso idonei i locali secondo le esigenze del coworking, separando l’open space, creando due ambienti, curando il giardino e siamo riuscite ad inaugurare a fine settembre 2014.
In che rapporto siete con il quartiere?
I rapporti con il condominio e il quartiere sono buoni. Tra l’altro penso che difficilmente un’attività legata a genitori e bambini possa dispiacere e dando vita a degli spazi, anche esterni, non poteva che far piacere. Le relazioni con i vicini sono molto buone. Per esempio, domenica prossima alcune persone che abitano qui festeggeranno il loro bambino affittando la nostra sala. Altro esempio: ad ottobre, quando c’è stato il rischio alluvione, ci sono state conseguenze qui nelle cantine ed eravamo insieme ai condomini, con gli stivali di gomma, a spalare l’acqua.
Mi descriveresti le attività in corso?
Quelle promosse o ospitate da noi sono diverse: corsi di formazione, un corso di English Business è finito stamattina, e c’è sempre la possibilità per bambine e bambini di stare nello spazio baby mentre gli adulti frequentano. Un’altra attività sono i “laboratori di parola”, curati da Silvia Trombetta, counselor genitoriale, per la buona comunicazione in famiglia. Poi abbiamo corsi di inglese per bambini, a fine mese ci sarà un corso per chi vuole aprire un blog. Ospitiamo seminari del CESV, il centro regionale di servizi a sostegno del volontariato, che per la Città delle mamme è stato sempre molto importante, in quanto ci hanno sempre seguiti.
Poi, ci sono le attività e i lavori delle persone che hanno preso in affitto le postazioni del coworking. Siccome abbiamo aperto questo coworking sapendo che la nostra caratteristica principale era quella di accogliere persone con bambini piccoli, non ci siamo connotati per specifiche attività, ad esempio quelle del web. E quindi le persone che lavorano qui sono di diverse professionalità: giornaliste, docenti universitarie, illustratrici, psicologhe, counselor. E c’è anche un padre di due bambine, che ha preso la postazione con la socia.
Come funziona l’accesso alle postazioni?
Le persone chiamano, vengono a vedere gli spazi, possono fare una prima prova (gratuita). Essendo in genere donne che rientrano al lavoro dopo aver avuto un bambino, il percorso è molto delicato. C’è bisogno di un percorso di accoglienza, che noi offriamo in base anche alla nostra lunga esperienza in Città delle mamme. Ci siamo rese conto che per queste donne è già un passaggio molto positivo quello di sapere che c’è un luogo dove poter lavorare con i propri figli, diverso dalla propria casa. A casa non ce la puoi fare, perché la casa diventa anche l’ufficio, il posto dove ricevi gli amici……Noi siamo comunque in ascolto, pensando ad una serie di possibilità, di tariffe, di ingressi, ed abbiamo sempre chiesto di dirci quali fossero le esigenze reali, quante volte venire, e così via, dando massimo ascolto e disponibilità.
Com’è composto il vostro team?
Siamo in quattro. Un’educatrice è responsabile dello spazio baby, le altre tre persone sono socie della Città delle mamme, coordiniamo il coworking, ognuna di noi con le proprie competenze. Le altre quattro socie dell’associazione affiancano le attività dando il loro supporto.
E qual è la vostra struttura sociale?
Adesso siamo un’associazione di volontariato, ma nel frattempo abbiamo partecipato ad un bando della Coop, lo abbiamo vinto e apriremo una cooperativa di produzione e lavoro, finalizzata alla gestione di questa attività che, come associazione di volontariato, non potremmo continuare a lungo. Ma l’associazione di volontariato rimane, per continuare a portare avanti i progetti fatti finora. Il bando Coop prevedeva la selezione di idee innovative per la creazione di cooperative, con una lunga fase di tutoraggio e affiancamento che ancora è in corso. Abbiamo fatto corsi di formazione con loro per avere gli strumenti per gestire la cooperativa.
All’Alveare vi contattano altre realtà?
Ci chiamano tantissime persone per replicare l’idea, da Roma e da tutta Italia. Ci chiedono cosa facciamo e noi raccontiamo la nostra storia. Per la gestione dello spazio baby poi ogni regione ha le sue regole. Chi ci chiama da Roma vorrebbe aprire spazi analoghi in altri quartieri della città. Poi abbiamo proposte anche di singole persone che vorrebbero attivare dei corsi o delle attività, e in parte le abbiamo accolte. Ad esempio, il corso sul blog ce l’ha proposto la responsabile di “Roma dei bambini”.
Come viene considerato questo spazio da chi lo frequenta?
Te lo dico con molto orgoglio: affermano che è un posto dove si sta molto bene ed è accogliente. E questo ci fa molto piacere. Sì, gli spazi sono belli, ma renderli accoglienti è anche il nostro lavoro. Ad esempio, ti cito una persona che è venuta qui a fare una riunione molto operativa, mentre nell’altra stanza c’era un seminario in corso, oltre alle persone che lavoravano nelle salette, il posto era pieno di gente, ma, prima di andar via, ci ha detto che era riuscita a lavorare molto bene.
Ci sono nuove idee in lavorazione?
Mille cose ci vengono in mente. Vorremmo fare dei corsi di formazione altamente professionali per le donne, è un progetto che abbiamo in mente e penso e spero che potremmo realizzarlo.
Considerando che siamo in periodo di crisi economica, cosa osservate rispetto a quello che avviene qui all’Alveare?
Questo luogo sembra quasi una conseguenza della crisi: ripensare il lavoro in questa ottica, è una conseguenza della tipologia di lavoro in auge fino a qualche anno fa. Ed è anche una reazione, strettamente dipendente da quello che non si può più chiedere alle persone che lavorano, cioè il rinunciare alla vita privata, facendo figli forse…se si ha il coraggio…a 42 anni, perchè magari l’anno prima sei riuscita a firmare un contratto appena decente che ti fa quasi stare tranquilla…Quindi penso che riorganizzare il lavoro in questa maniera forse significa che è il caso di rivederlo, alla grande, a 360 gradi. Infatti, il nostro progetto è quello di aprire spazi alla Pubblica Amministrazione, consentendo ai dipendenti di lavorare così. Non l’abbiamo ancora proposto al Comune in maniera ufficiale, ma penso che lo faremo.
Le coworkers attive qui all’Alveare hanno cominciato a interagire tra loro?
Sì, tra le coworkers c’è una comunità di intenti, c’è una rete sociale che si è innescata immediatamente ed una progettualità comune che viene fuori dal quotidiano. Ad esempio, qui ci sono delle ostetriche che si sono fatte fare dalla illustratrice tutta la linea grafica.
E con gli altri coworking siete in contatto?
Il modello di coworking si distacca dal modello lavorativo del passato, devia dal concetto di concorrenziale e va nella direzione opposta, verso cooperazione e condivisione, quindi abbiamo cominciato a partecipare a tutti gli incontri in tema di coworking, qui a Roma. C’è il Coworking 360, Millepiani, i Maker di Garbatella, The Hub a San Lorenzo. Noi lavoriamo da mesi al tavolo comune per la elaborazione delle linee guida per la Regione Lazio, per la strutturazione di bandi ad hoc.
Avendone magicamente la possibilità, cosa faresti da subito per migliorare l’Alveare?
Mi piacerebbe renderlo ancora più accessibile sul piano dei costi. Una postazione per 5 ore al giorno costa € 450 al mese, con lo spazio baby, da lunedì al venerdì. La postazione singola, senza spazio baby, sono € 200 al mese. E sono prezzi medio-bassi, rispetto al mercato. In totale abbiamo diciotto postazioni, di cui ne sono occupate finora la metà. E’ vero che abbiamo gli spazi in concessione, però tutto il resto è a carico nostro: le utenze, la gestione, la manutenzione, gli stipendi. Per esempio, qui per i bambini attuiamo un progetto educativo, nello spazio baby non sono parcheggiati: qui i bambini imparano, stanno insieme, condividono gli spazi, i giochi, il loro tempo, quindi vivono una esperienza che li arricchisce.
________________________________________
E’ un Alveare dove fervono idee, attività, lavori, il tutto accompagnato dai bimbi che crescono e che perciò sono la migliore testimonianza di un percorso di sviluppo. Per me è interessante che in uno stesso luogo convivano tanti aspetti così importanti, come il lavoro (in particolare femminile), la formazione, le giovani generazioni, la famiglia, il recupero e la valorizzazione del patrimonio immobiliare, la buona relazione con i cittadini e le Istituzioni. E la scommessa delle promotrici dell’Alveare pone questi aspetti – per certi versi tradizionali – in una buona rampa di lancio per affrontare al meglio le sfide della contemporaneità. Una scommessa per niente facile, partita con le migliori intenzioni e attiva già su moltissimi fronti.
________________________________________
Lascia un commento